Tessile e costi energetici, situazione fuori controllo: l’allarme di Confindustria

Tessile e costi energetici, situazione fuori controllo: l’allarme di Confindustria

“Una situazione estremamente grave che se lasciata a se stessa rischia di portarci al disastro” sono le parole di Francesco Marini, imprenditore tessile e componente il Consiglio di presidenza di Confindustria Toscana Nord, riguardo ai costi energetici e al loro impatto sul settore tessile, che è uno di quelli che più soffrono per l’impennata dei costi energetici dato che le lavorazioni tessili sono quasi tutte ufficialmente energivore, con tintorie e rifinizioni che sono anche e soprattutto gasivore (i criteri sono fissati dalle “Nuove linee guida sugli aiuti di stato all’energia e all’ambiente” dell’Unione Europea pubblicate alla fine dello scorso dicembre). Ben tre quarti delle oltre 2.500 imprese tessili del distretto pratese (esattamente il 76%) è energivoro; fra le aree tessili italiane Prato è la prima per consumi di energia elettrica, sfiorando da sola il 15% del totale dei consumi nazionali nel settore (dati Terna 2019).

L’allarme viene dalla sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord che fin dagli ultimi mesi del 2021 ha posto all’attenzione della politica questa situazione, che oggi ha varcato il limite della capacità di sopportazione da parte dei conti aziendali.

“Già prima di questa crisi le imprese italiane lamentavano il 30% di costi energetici in più rispetto ai concorrenti europei – continua Marini – Ora questo gap è diventato, almeno rispetto ad alcuni paesi, ancora più ampio e l’Italia ha uno dei costi energetici più alti d’Europa: anzi, fra i paesi europei manifatturieri è di gran lunga il primo per onerosità. Il nostro settore ne sta facendo le spese in maniera pesantissima e Prato, con le sue imprese di filiera, rischia davvero grosso: chiusure o come minimo una perdita forte di competitività, con effetti economici e sociali molto gravi. Non dimentichiamo che anche la domanda non è certo in fase espansiva, con l’Europa che arranca e gli Stati Uniti in recessione tecnica. In questa situazione ci aspettiamo da parte della politica attenzione massima e immediata. Sia chi siede nel Parlamento uscente sia chi è candidato a entrarvi ci dica cosa intende fare e si faccia portavoce anche delle intenzioni delle rispettive forze politiche. Non è vero che non si può fare nulla. Altre nazioni stanno adottando misure che portano dei benefici: aiuti di Stato diretti alle aziende, prezzi amministrati per parte delle forniture, tetti ai prezzi dell’energia elettrica. Energia elettrica che peraltro è prodotta solo in parte in impianti a gas e non si deve far finta che sia agganciata in maniera diretta ai prezzi del metano”.

Anche il presidente della sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord Maurizio Sarti, fa sentire la sua voce: “Dopo la fase acuta della pandemia, con un mercato della moda ai minimi termini, eravamo ripartiti piuttosto bene anche grazie al fatto che stavamo lavorando sull’invernale, che è la nostra punta di forza. E’ difficile capire cosa potrà accadere adesso con le collezioni primavera-estate, sulle quali la concorrenza internazionale è più ampia e pressante. Abbiamo bisogno di risposte immediate. Anche perché una caratteristica propria del tessile è la stagionalità: se perdiamo opportunità di mercato in determinati momenti dell’anno poi quegli ordini non arrivano più. Il nostro settore ha anche questo problema, oltre a quello più generale condiviso con tutti. Occorre che nei prossimi mesi il tessile possa avere energia elettrica e gas a prezzi accettabili e disporne senza limitazioni. Da qui l’urgenza di provvedimenti che attenuino la pressione sulle nostre imprese”.

Le imprese della filiera più colpite dai rincari sono senza dubbio quelle della fase della nobilitazione e proprio Riccardo Matteini Bresci, che nella sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord coordina il gruppo Nobilitazione e lavorazioni tessili, dà un altro allarme. “Le lavorazioni tessili hanno visto la propria bolletta energetica prima raddoppiare, poi triplicare, poi arrivare a cinque, sei volte di più rispetto all’ultimo anno definibile come normale, il 2019. Questo per molti ha significato vedere sparire i propri margini, se non lavorare in perdita. Occorre ricordare che la produzione pratese è non solo quantitativamente ampia ma anche qualitativamente molto articolata: Prato non fa solo moda di alto livello, ma anche quei beni essenziali che servono per vestire tutte le persone. Se i prodotti di fascia più alta possono, con fatica, assorbire gli aumenti, quelli di livelli più ordinari non hanno margini per farlo. Questo significa che imprese specializzate in queste produzioni rischieranno il default e che altre imprese che magari si muovono su più livelli circoscriveranno la loro attività solo alla fascia top di gamma. Una prospettiva del genere è devastante anche perché è dai grandi numeri delle produzioni di base che si trova linfa finanziaria e tecnica per le fasce più alte. Credo che in molti tireranno i freni. Io stesso, come molti colleghi, sto facendo una riflessione sulla possibilità di circoscrivere l’attività aziendale utilizzando solo parte degli impianti: siamo in molti a ragionare, giocoforza, in questi termini. Fra le molte cose da fare da parte di chi ci governa e amministra anche l’incentivazione e la semplificazione degli iter per le energie rinnovabili: la transizione energetica non va sostenuta solo a parole”.

 

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