Rifiuti tessili

Rifiuti tessili, sequestro record in tutta Italia

Con l’operazione Tex Majhong la Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze ha inferto un durissimo colpo allo smaltimento illegale di rifiuti tessili. Arresti, perquisizioni e sequestri in varie parti d’Italia nel corso della mattinata e la ricostruzione dell’intera filiera dello smaltimento illegale, dalle varie manifatture cinesi fino ai capannoni dismessi nonché allo smaltimento illecito all’estero i risultati alla fine dell’operazione.

Trovate oltre 10.000 tonnellate di rifiuti speciali raccolti mediante un capillare e radicato sistema di ritiro “a nero” presso le aziende manifatturiere alla base degli ingenti illeciti. L’inchiesta è diretta dal Procuratore Capo di Firenze Giuseppe Creazzo e coordinata dal sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia Leopoldo De Gregorio e ha portato all’esecuzione di otto ordinanze di misura cautelare, perquisizioni e sequestri emesse dal gip del Tribunale di Firenze tra le province di Prato, Pisa, Bassano del Grappa e Pesaro Urbino.

Impegnate anche le polizie provinciali e municipali di Prato. Trentaquattro gli indagati a cui vengono contestati reati a vario titolo. I più gravi, associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti su tutto il territorio nazionale e traffico transfrontaliero di rifiuti verso paesi dell’unione europea vengono rivolti nei confronti di soggetti italiani e cinesi.

Il primo tassello del mosaico investigativo sono gli accertamenti del 2018 dalla Polizia Municipale di Prato, relativi al rinvenimento di etichette di abbigliamento, provenienti da ditte del proprio territorio, all’interno di cumuli di rifiuti abbandonati a Cascina, in provincia di Pisa.

E’ stata individuata un prima triade criminale, due italiani ed una donna cinese, che si occupavano della raccolta dei rifiuti presso i vari pronto moda e confezioni di abbigliamento dell’hinterland pratese, mediante un apposito servizio di ritiro “porta a porta” dove, se eventualmente inconsapevole poteva essere l’affidamento dei propri scarti di lavorazione a soggetti privi di autorizzazioni (i mezzi utilizzati per il trasporto erano spesso privi di iscrizione all’albo Nazionale Gestori Ambientali e venivano utilizzati timbri di ditte fittizie), di sicuro non lo era l’evasione fiscale derivante dal metodo di pagamento previamente concordato.

Una contabilità parallela confermata dai vari quadernoni di appunti manoscritti, con copertine multicolorate, anche in lingua cinese, rinvenuti durante le perquisizioni. Poi intercettazioni, appostamenti, pedinamenti, tracciatura dei mezzi mediante apparati satellitari per individuare due filoni di smaltimento parallelo, uno nelle Marche e l’altro in regioni del Nord Italia, sempre in capannoni industriali dismessi, in luoghi appartati per i quali veniva corrisposto il canone di locazione solo per i primi mesi e dove quindi gli scarti tessili, fatti viaggiare con documentazione che attestava la perdita dello status di rifiuto, senza che in realtà gli stessi fossero stati sottoposti ad alcuna delle attività previste dalla normativa, quali la cernita selezione ed igienizzazione, venivano ivi abbandonati.

Le indagini hanno portato anche al trasbordo dei rifiuti sulla strada, così come avvenuto a seguito del sequestro avvenuto sul primo punto di illecito stoccaggio intermedio individuato in provincia di Prato che ha costretto il sodalizio ad operare all’interno di piazzali pubblici dove veniva fatto convergere l’autotrasportatore di turno; da qui il viaggio verso i capannoni in provincia di Pesaro ed Urbino, con il sistema della “doppia documentazione” dove all’autista veniva fornito sia in un DDT (genericamente utilizzato nel caso di merce) che un formulario (documento previsto per il trasporto dei rifiuti), questo ultimo da esibire solo in caso di controllo ed il più delle volta “fatto sparire” al momento dell’arrivo al sito di destinazione.

Diecimila tonnellate di rifiuti speciali costituiti da scarti e ritagli di tessuto frammisti a ritagli di carta, frammenti di plastica nonché, a vari rifiuti di origine domestica tipici della produzione e confezione di capi di abbigliamento”, così come appositamente analizzati e classificati da personale del Dipartimento Arpat di Prato, che ha svolto in collaborazione con gli investigatori i necessari accertamenti tecnici.

Il tutto stipato all’interno di plurimi capannoni industriali, container e semirimorchi ed oggetto di sequestro. Ovviamente gli immobili con rifiuti che raggiungevano quasi il colmo dell’edificio erano bombe ad orologeria in virtù dell’elevato potere calorifero scaturito da tali materiali in caso di combustione e privi di ogni requisito di sicurezza ai fini antincendio per i lavoratori all’interno.

Sia i capannoni che i mezzi utilizzati per la raccolta presso le confezioni e/o i pronto moda cinesi presentavano autorizzazioni inesistenti, clonate da altre aziende, o falsificate nella parte riguardante la possibilità di poter trattare i rifiuti tessili. Elevati profitti per tutti i componenti dell’associazione criminosa, con un illecito profitto stimato, nell’arco temporale di circa un anno e mezzo di 800.000 euro.

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