Macrolotto Prato

Moda e legalità, Prato rifiuta le etichette e chiede l’impegno di tutti

L’ennesima ribalta negativa, l’ennesima immagine di violenza, soprusi e illegalità: dopo i fatti di Montemurlo il distretto pratese è finito di nuovo al centro di una gogna mediatica che però non rappresenta l’impegno per la legalità portato avanti dalla grande maggioranza delle aziende.

Confindustria Toscana Nord, che non ha informazioni dirette sull’azienda che è stata prima oggetto di contestazione da parte dei dipendenti e poi teatro di violenze da parte della proprietà per reprimere la contestazione stessa, in violazione del diritto di sciopero, stigmatizza quanto avvenuto.

“Gestioni del personale all’insegna dell’illegalità e dello sfruttamento – dice una lunga e dettagliata nota dell’associazione degli industriali – non sono purtroppo una novità, ma a queste non possiamo e non dobbiamo abituarci: rimangono fatti gravissimi, che compromettono la vita delle persone e ledono l’immagine non solo di Prato ma di tutto il made in Italy. Del tutto inammissibile il ricorso alla violenza contro lavoratori che per qualsiasi motivo, e a maggior ragione se per rivendicare propri diritti inalienabili, contestano il datore di lavoro. Comportamenti del genere non hanno giustificazione e sono da condannare senza alcuna esitazione e auspichiamo che su quanto accaduto venga fatta piena luce e che siano accertate le responsabilità, con adeguate sanzioni conseguenti”.

“La filiera – ricorda CTN – si estende ben oltre i confini del distretto pratese, coinvolgendo committenze italiane e internazionali sia sul versante del tessile che su quello dell’abbigliamento e maglieria. L’esistenza di problemi molto gravi viene denunciata da questa associazione da anni, soprattutto in relazione al comparto abbigliamento e al cosiddetto “distretto parallelo” di imprese straniere. Una posizione che è rimasta inascoltata per troppo tempo. Ora tutto questo presenta un conto che viene pagato in termini reputazionali da tutto il sistema pratese, anche se l’aria negli ultimi tempi sembra un po’ cambiata. Magistratura, forze dell’ordine, amministrazioni ed enti stanno operando con solerzia, nonostante carenze di risorse talvolta pesanti. Difficile e lungo, comunque, recuperare una situazione trascurata per troppo tempo”.

“Un quadro così complesso e difficile – sostiene la presidente di Confindustria Toscana Nord Fabia Romagnoli – deve coinvolgere profondamente e senza riserve l’impegno di tutti coloro che a vario titolo vi sono coinvolti. Le imprese sane e corrette sono già da lungo tempo impegnate a garantire a se stesse la collaborazione con partner produttivi altrettanto sani e corretti. Lo stanno facendo con convinzione per senso etico e di responsabilità oltre che per la sollecitazione della propria committenza finale, preoccupata anche delle ricadute negative di immagine quando viene alla luce il loro ricorso diretto o indiretto a subfornitori fuori dalle regole. Certificazioni, audit di soggetti terzi specializzati e vigilanza però non bastano. La vigilanza diretta verso altre aziende non può varcare certi limiti: le imprese private non hanno i poteri ispettivi delle forze dell’ordine e nemmeno li possono avere, in uno stato di diritto. Gli audit hanno a loro volta significative carenze di efficacia. Cosa rimane quindi? Un’attenzione sempre più rigorosa da parte delle imprese committenti, tutte: da quella apicale a quelle che lungo la filiera sono nello stesso tempo subfornitori ma anche committenti di altre aziende. In primo luogo occorre che si valuti la congruità dei compensi richiesti: se questa non c’è è un segnale di possibile illegalità rispetto delle norme sul lavoro, sulla sicurezza, sul fisco o sull’ambiente. Questa attenzione elementare deve esserci in tutte le fasi, a cominciare ovviamente dalla prima e fondamentale committenza: cioè da chi è titolare del prodotto finale, quello che arriva ai consumatori. Talvolta margini un po’ più magri possono garantire subfornitori affidabili, che a loro volta hanno una filiera sana, e consentire di non rischiare di essere implicati anche indirettamente in situazioni di sfruttamento o comunque di non rispetto della legalità. Ma alle aziende non può essere fatto carico totale del problema. Aziende che lavorano per conto di altri e che sono aperte e attive, regolarmente registrate, dovrebbero essere di default affidabili: non dovrebbe essere necessario avere nei loro confronti una sorta di presunzione di colpevolezza che è anche offensiva, mi sia consentito dirlo, nei confronti delle imprese corrette. Eppure bisogna fare così, perché la situazione è almeno in parte sfuggita di mano ai controlli dello Stato e le imprese scorrette sono tante, troppe, e non sempre facilmente individuabili. E’ da qui che bisogna ripartire: dal rafforzare e ampliare il sistema dei controlli da parte delle autorità”.

“Per trovare delle soluzioni al problema dell’illegalità nelle filiere – aggiunge Francesco Marini, presidente della sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord – gli strumenti e i percorsi sono in gran parte noti. Gli attori in gioco sono le imprese private, con le loro organizzazioni e con la possibilità di ricorrere a soggetti terzi come gli auditor, e le autorità pubbliche: entrambe devono dare il massimo per risolvere una situazione che rischia di minare un settore come quello della moda che ha già dei problemi di mercato e che è un pilastro del made in Italy. Salvaguardare la moda significa salvaguardare gli interessi nazionali. Le aziende pratesi sono consapevoli da lungo tempo della delicatezza della situazione: iniziative sia lontane che vicine nel tempo stanno a testimoniarlo, dal codice etico alla promozione del DURC, fino all’impegno per la tracciabilità attraverso la digitalizzazione. Armi, soprattutto le prime, però spuntate, insufficienti a garantire il ricorso a subforniture davvero affidabili, soprattutto quando si tratta di rapporti sporadici e non continuativi. Quanto agli audit, particolarmente rilevanti nell’ambito della responsabilità sociale, andrebbero ripensati nelle loro modalità di attuazione e nei parametri da prendere in esame. Comunque, necessariamente, un audit è circoscritto nel tempo e non può assicurare né continuità né possibilità di intercettare tutti gli escamotage che possono far apparire corretta un’azienda che non lo è. Come sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord lavoriamo costantemente ai fini della sensibilizzazione delle imprese e dei loro interlocutori e per l’individuazione ad esempio di soluzioni tecnologiche che favoriscano la tracciabilità. Sul versante dell’impegno delle aziende una notizia positiva è quella che viene dal lavoro che sta facendo Confindustria Moda, che ha sottoscritto lo scorso maggio, con le massime autorità lombarde, il “Protocollo per il contrasto all’illegalità negli appalti nella filiera produttiva”: un atto importante, che rappresenta un passo avanti in tema di trasparenza e di rispetto delle regole e che potrebbe essere esteso anche alla realtà pratese. Anche da questo protocollo è scaturita l’opportunità di elaborare un progetto di legge nazionale che stabilisca dei meccanismi di tutela della legalità nelle filiere della moda. Qualcosa, insomma, si può ancora fare come aziende, in aggiunta a un più pressante controllo da parte dei soggetti pubblici preposti. Ma alcuni messaggi che riguardano il mondo produttivo sono errati, primo fra tutti quello che vorrebbe internalizzare in una unica azienda (quale, peraltro? Quella del brand titolare del capo finito? Quella in capo alla filiera tessile?) tutte le fasi di lavorazione. Sostenere questa tesi significa non avere le idee chiare sul tessile in generale e sulla filiera pratese in particolare. La nostra produzione è basata su prodotti per i quali di volta in volta occorrono specializzazioni diverse: impossibile incorporarle tutte, pena l’appesantimento delle aziende con macchine e specialisti di cui verrebbe fatto uso sporadico e che oltretutto perderebbero nel tempo le competenze sempre aggiornate rese possibili solo da un’attività costante nella loro specifica fase. La ‘specializzazione flessibile’ della filiera pratese è da sempre il suo punto di forza. Anche qualche sindacato lo ha ben compreso e riaffermato”.

Sul tema sono intervenuti anche i presidenti di Confartigianato Imprese Prato e CNA Toscana Centro, Luca Giusti ed Emiliano Melani: “Gli episodi avvenuti davanti alla stireria-confezione L’Alba di Montemurlo – scrivono – destano forte preoccupazione e testimoniano il clima di tensione crescente che attraversa il distretto pratese”.

“La condanna della violenza nei confronti degli operai in sciopero – aggiungono – è netta e senza esitazioni. Ma non basta più fermarsi alle parole: di fronte a un disagio che si manifesta con sempre maggiore frequenza, serve il coraggio di affrontare il problema con determinazione, adottando strumenti e visioni nuove. Come associazioni di categoria abbiamo già avanzato proposte concrete: dall’incrocio delle banche dati all’accesso ai consumi energetici e idrici, fino al monitoraggio di altri indicatori fondamentali. Solo così sarà possibile individuare le situazioni anomale sotto il profilo sociale, ambientale e finanziario, ed escludere definitivamente dal sistema produttivo quelle realtà che operano fuori dalla legalità, mettendo a rischio un distretto costituito in larga maggioranza da aziende sane, serie e rispettose delle regole. Con lo stesso spirito di coraggio, riteniamo sia tempo di aprire una riflessione anche sul modello di distribuzione della marginalità lungo l’intera filiera. La sfida è garantire una ripartizione più equa del valore generato, condizione essenziale per la sostenibilità futura del nostro distretto e per la tutela di tutte le imprese che vi operano correttamente”.

Condividi articolo
Matteo Grazzini
Matteo Grazzini