Certificazione di filiera, le associazioni sono soddisfatte

Il via libera arrivato dalla Commissione Industria del Senato all’emendamento al disegno di legge 1484 apre le porte alla “Certificazione unica di conformità delle filiere della moda”, con la soddisfazione di chi, in quel settore, lavora e produce.

Altagamma, Camera Nazionale della Moda Italiana, Confindustria Moda e Confindustria Accessori Moda così come Cna Federmoda e Confartigianato Moda accolgono con favore l’evoluzione dei dispositivi.

“Una buona legge che protegge il Made in Italy attraverso una certificazione di filiera attendibile e imparziale. Ma serve ancora un passo in avanti sugli effetti della certificazione” dicono insieme Carlo Capasa, Matteo Lunelli, Luca Sburlati e Giovanna Ceolini in rappresentanza di CNMI, Altagamma, Confindustria Moda e Confindustria Accessori Moda.

Il Disegno di Legge per le PMI si muove quindi nella direzione auspicata dalle associazioni di categoria: “E’ un passo fondamentale verso la valorizzazione e la trasparenza della filiera produttiva della moda italiana, da monte a valle. Un provvedimento che nasce dal dialogo costruttivo tra istituzioni e associazioni di categoria e che pone al centro il lavoro, la responsabilità e la tutela del Made in Italy” aggiungono gli stessi presidenti.

Secondo queste associazioni i punti di forza sono “la spinta che dà ai CCNL sottoscritti dalle sigle sindacali maggiormente rappresentative o agli accordi equiparabili, al fine di garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, soprattutto a livello economico, creando sempre più ostacoli all’applicazione dei c.d. Contratti pirata” e il fatto “che la certificazione sarà rilasciata da soggetti terzi e imparziali”.

Adesso manca il ritocco finale: “Riteniamo – chiosano i presidenti – che il testo della legge debba e possa essere perfezionato per assicurare che l’intera filiera possa lavorare con certezza di diritto e nel pieno rispetto dei principi di legalità. Occorre chiarire l’applicazione dello strumento del commissariamento per le società capofila che aderiscono alla certificazione volontaria. La sua applicazione, senza contraddittorio, consegna al mondo un’immagine distorta dell’intera industria della moda italiana. Richieste di scudi penali non sono mai state avanzate”.

“I nostri prodotti tradizionali, frutto di saperi artigianali tramandati da generazioni, faticano a essere riconosciuti e valorizzati, mentre il settore del fast fashion ha costruito un’identità commerciale immediata e globalmente riconoscibile. Questa inversione di percezione rappresenta non solo una distorsione di mercato, ma una ferita all’identità manifatturiera del nostro Paese” dicono Cna Federmoda e Confartigianato Moda.

Anche Cna Federmoda e Confartigianato Moda si aspettano che si tenga conto delle ulteriori proposte di modifica presentate al Governo, come il mantenimento del carattere volontario della certificazione, ritenuto elemento fondamentale.

“La certificazione – scrivono le associazioni degli artigiani – deve valorizzare l’intera filiera produttiva e non solo il marchio e il prodotto finale. Le micro e piccole imprese non sono soggetti marginali, ma pilastri della manifattura italiana. La certificazione può trasformarsi in strumento davvero efficace solo se inserita in un quadro di riforma complessiva fondato su principi chiari e non negoziabili: trasparenza di tutta la filiera, tracciabilità completa di ogni fase produttiva e di ogni soggetto coinvolto, principio dell’equa remunerazione. È necessaria una standardizzazione degli audit in generale, evitando duplicazioni e sovrapposizioni con le verifiche già effettuate dai brand committenti”.

Cna Federmoda e Confartigianato Moda auspicano che nel percorso che il provvedimento dovrà svolgere alla Camera vengano accolte le proposte di applicare la Legge 192/1998, vincolando i committenti al rispetto di contratti chiari, con prezzi equi e tempi di pagamento certi; riconoscere la corresponsabilità della società capofila; riconoscere e integrare le certificazioni esistenti; avvantaggiare chi pratica prezzi equi; istituire un tavolo tecnico permanente, con il coinvolgimento delle associazioni di categoria, per definire un modello di certificazione realmente utile, condiviso e in continua evoluzione.

Foto di Karly Santiago su Unsplash

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Matteo Grazzini
Matteo Grazzini