Uno storico marchio dell’industria tessile italiana che è diventato un brand e che vede al momento impegnata la quarta generazione familiare: si parla della Ermenegildo Zegna ed è da questa realtà che parte il colloquio che chiude la cerimonia inaugurale di Milano Unica. Protagonisti della conversazione Edoardo Zegna, Chief Marketing, Digital and Sustainability Officer dell’azienda di famiglia, e Claudia D’Arpizio, senior partner e responsabile globale Moda & Lusso di Bain& Company, moderati da Nicola Porro, vicedirettore del Il Giornale.
Proprio l’azienda biellese è spunto per capire come una realtà industriale possa crescere fino ad essere quotata in Borsa senza perdere il carattere di impresa familiare. “La quarta generazione è fatta da 11 persone – spiega Edoardo – l’ingresso in azienda è disciplinato da una governance che richiede una laurea, un’esperienza professionale di almeno tre anni all’esterno del gruppo e una valutazione positiva da parte di un board che non è composto da familiari. Non si tratta di eredità, ma piuttosto di una costruzione fatta insieme, ognuno aggiungendo un piano a questo edificio. Se il mio bisnonno ha messo le radici, la seconda generazione ha portato un’internazionalizzazione e la realizzazione di un prodotto finito, la terza ha creato il brand e ha dato il via a molte acquisizioni. Cosa spetta alla quarta generazione? In linea con il nostro tempo sicuramente andare oltre il prodotto e trasmettere la nostra storia, far arrivare al consumatore una sensazione, un’esperienza“. In effetti proprio quest’ultimo obiettivo fa oggi la differenza anche secondo Claudia D’Arpizio: “Realisticamente i prodotti del nostro settore sono inutili – commenta – perché ne abbiamo già in abbondanza. Perché allora continuiamo a comprarli? Perché sono simboli e perché rappresentano emozioni, esperienze, sensazioni. Solo le aziende che riescono a trasmettere questi valori possono convincere il consumatore a comprare. Non è neanche più il caso di parlare di qualità che ormai è imprescindibile nel settore del lusso di cui stiamo parlando”. Ma cos’è il lusso, allora? Sono brand di lusso quelli che hanno un premium price, un’eccellenza produttiva, un’esclusività distributiva ed una riconoscibilità internazionale: chiaro che il cerchio si stringe.
Davanti a una platea di imprenditori, non è stato possibile nascondere i dati preoccupanti del settore: nel 2024 la produzione è diminuita del 20%, si sono persi 50.000 consumatori sui circa 400 milioni di consumatori esistenti nel mondo. Di questi la maggior parte è la fascia giovane. Notizie critiche anche sul fronte mercati: secondo i dati riportati da Claudia D’Arpizio non ci sono isole felici, l’unica area che cresce è il Medio Oriente con Dubai in testa, ma bisogna aspettare le ripercussioni della vicina guerra. C’era stata una piccola ripresa del Giappone, che si è arrestata, ma il rallentamento che più preoccupa è quello della Cina. “Il Governo non favorisce più l’acquisto di beni di lusso – dice D’Arpizio – che erano il simbolo di una crescita sociale, perché da qualche tempo non c’è più la garanzia di una effettiva e diffusa possibilità di crescita per i cittadini cinesi, pertanto l’ostentazione di chi ha la possibilità di fare certi acquisti è mal vista, in quanto possibile foriera di tensioni sociali”. I nuovi ricchi che indubbiamente possano acquistare sul mercato del lusso oggi sono frammnettai in diversi mercati, pertanto più difficili da gestire.