Approvazione EPR: le prime reazioni

Mentre gli imprenditori tessili sono impegnati nel turbinio delle fiere di settembre, a una settimana dall’approvazione definitiva da parte del Parlamento europeo, arrivano le prime reazioni alla nuova regolamentazione in materia di rifiuti alimentari e tessili valida in tutti i Paesi membri. Il testo legislativo è lo stesso nato dall’accordo provvisorio con il Consiglio dello scorso febbraio, adottato senza votazione poiché non sono stati presentati emendamenti.

La direttiva aggiornata convalida i principi del regime Epr (di ‘responsabilità estesa del produttore’) per il comparto tessile: i produttori che immettono tessili sul mercato dell’Ue dovranno sostenere i costi di raccolta, cernita e riciclo, tramite nuovi regimi di responsabilità estesa del produttore, appunto, da istituire in ciascuno Stato membro entro venti mesi dall’entrata in vigore della direttiva. Le norme – specifica la nota del Parlamento europeo – si applicheranno a tutti i produttori, anche quelli che operano via e-commerce e indipendentemente dal luogo di stabilimento. Le microimprese avranno un anno supplementare per adeguarsi. Le nuove regole, inoltre, riguarderanno abbigliamento e accessori, cappelli e calzature ma anche tessili che non sono fashion (coperte, tende, biancheria da letto e da cucina). Previsto, infine, che gli Stati membri dovranno considerare le pratiche di ultra-fast fashion e fast fashion nel determinare i contributi finanziari per sostenere i nuovi compiti dei produttori.

L’approvazione del pacchetto sul riciclo rappresenta il coronamento di un iter iniziato già nel 2023, quando la Commissione europea aveva proposto una revisione delle norme Ue sui rifiuti, mirata proprio a ridurre l’impatto degli sprechi tessili e alimentari. È seguito un percorso travagliato che ha visto in un primo momento gli Stati membri tentare di giocare d’anticipo sulle norme comunitarie per rivendicare una legislazione nazionale. Ci erano riusciti solo Olanda, Francia e Ungheria; anche l’Italia ci aveva provato, non riuscendoci per un soffio, per quanto abbia comunque realizzato un proprio testo sull’Epr tessile, che il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha garantito entrerà in vigore entro l’anno.

Il tema è scottante: ogni anno, nell’Ue si generano 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Solo l’abbigliamento e le calzature rappresentano 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti, equivalenti a 12 kg a persona ogni anno. Si stima che meno dell’1% di tutti i tessili a livello mondiale venga riciclato in nuovi prodotti. Questa normativa, secondo una delle prime reazioni, quella di Slow Fiber, rappresenta un passo importante ma non risolutivo nella lotta contro l’impatto ambientale della moda e del fast e ultra fast fashion. Slow Fiber, la rete di imprese italiane impegnate nella promozione di una filiera tessile più sostenibile, responsabile e trasparente, afferma che senza un ripensamento radicale dei volumi di produzione e consumo, e una rivoluzione nella cultura dell’acquisto e dell’uso di prodotti tessili, la normativa rischia di affrontare solo gli effetti e non le cause dell’emergenza rifiuti nel settore tessile.

“La gerarchia dei rifiuti ci dice chiaramente che il primo obiettivo dev’essere produrre meno rifiuti – spiega Dario Casalini, Presidente di Slow Fiber – Ma questo richiede uno sforzo culturale, che oggi manca completamente nell’impianto europeo: consumare meno, consumare meglio e allungare la vita utile dei prodotti. Non possiamo pensare che il riciclo – oggi ancora largamente inefficiente – sia la soluzione a tutto”. Secondo Slow Fiber, la tecnologia non è ancora pronta per reggere l’enorme mole di rifiuti generata da un sistema basato sulla sovrapproduzione.

Altro nodo centrale è quello della responsabilità estesa del produttore. “Il rischio concreto è che si torni a pratiche insostenibili: incenerimento o dumping ambientale nei Paesi in via di sviluppo – continua Casalini – La responsabilità deve essere territorializzata: ogni Paese consumatore deve farsi carico del proprio impatto. Inoltre bisogna riflettere sul sistema di contribuzione economica previsto dalla direttiva: una maglietta in poliestere e una maglietta in cotone organico, cucita per durare, non dovrebbero costare allo stesso modo in termini di EPR. Serve un sistema che tenga conto della composizione, della durabilità, della disassemblabilità e dell’impatto chimico dei capi. Senza queste distinzioni, si penalizzano le aziende virtuose e si premia chi produce a basso costo e ad alto impatto”.

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