Berlino è già nel suo specchietto retrovisore, Milano invece impostata sul navigatore: Fabio Adami Dalla Val, numero uno di Denim Première Vision guarda al prossimo novembre, tra il bilancio dell’edizione berlinese appena terminata e la prospettiva di un nuovo appuntamento in Italia.
Berlino ha fatto la sua parte e si è confermata città da denim.
Sì, per caratteristiche e ambiente è senz’altro tra le più adatte ad ospitare questa fiera. Quando decidiamo dove portare il nostro salone itinerante pensiamo prima di tutto al business, che deve guidare tanto noi quanto gli espositori, non certo al divertimento o all’atmosfera della città. Da Barcellona, ad esempio, furono gli espositori a voler andar via, perché la città non offriva possibilità di mercato pari alla vitalità e al dinamismo dei suoi quartieri. Berlino in questo è un ottimo mix, ma…
Ma?
Mi sarei aspettato una presenza di visitatori e di buyer tedeschi più alta, una sorta di riconoscenza per aver portato un salone così nella loro città; d’altrone siamo una delle prime fiere in presenza in Germania nel post pandemia. In paragone ci sono stati più britannici, ma anche statunitensi e sudamericani
Non rimane che attendere le sedi per il 2023. La Turchia ha tanti espositori…
La Turchia è un’Europa allargata che al momento non rientra nei piani per il futuro immediato ma non è esclusa per quello più lontano. Pensiamo a novembre 2022, a Milano, che rimane una delle location più apprezzate da chi lavora nel denim. Parliano di una fiera che ha sì due eventi l’anno ma che offre alla cominità del jeans tanti sbocchi, da PV New York a PV Sport, oltre a Shenzhen e la stessa Première Vision Paris, dove il denim ha già una sua qualificata presenza.
C’è anche in questo settore una concorrenza tra saloni?
Non la percepisco per qualità e numeri a livello di espositori. A Denim PV c’è il 40% di aziende in comune con Kingpins, noi ne abbiamo 13 in esclusiva per gli accessori. Certo, un confronto c’è ma mi piacerebbe che le aziende scegliessero dopo essere state in più fiere, anche se capisco le ragioni di budget.
Quello del denim è il settore che ha patito meno durante la pandemia?
Non del tutto, anche se questo tipo di capo o di tessuto si presta di più ai cambiamenti in corsa. Nel tessuto se hai una rimanenza di giallo a fiori nella stagione in cui la tendenza è rosso a pois hai poco da inventare, mentre se in magazzino c’è del jeans invenduto ci puoi lavorare con accessori, lavaggi e trattamenti vari rimettendolo appieno in collezione.
Avete portato tanti brand in fiera ma il settore ha bisogno più di loro o del fast fashion?
Entrambi, io non sono tra quelli che demonizzano realtà come H&M o Zara, anzi. Molte aziende lavorano con grandi ordini grazie a loro ed in più hanno avuto il pregio di mantenere il carattere identitario del jeans e riportarlo a fruizione della fascia media, che magari non poteva permettersi un capo di fascia alta o lusso di brand famosi.. E stanno anche creando collezioni sempre più ricercate nel design.