Slow Fiber, primo congresso per aprire un ciclo

Torino, città di Risorgimento e imprenditoria, ha ospitato il primo congresso nazionale di Slow Fiber a tre anni dalla fondazione della rete, frutto dell’incontro tra movimento Slow Food e 16 aziende virtuose della filiera tessile italiana, all’insegna del “buono, sano, pulito e giusto”, arricchiti dal principio di “durabilità”.

Oggi la rete riunisce 29 imprese italiane della moda e dell’arredamento che impiegano quasi 6800 addetti per un giro d’affari di 1,2 miliardi e rappresentano tutte le varie fasi della filiera: fibra, filatura, tintura, tessitura, finissaggio, disegno, prototipazione, industrializzazione, taglio e confezionamento, stampa e ricamo.

Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana le regioni rappresentate nel network, nato per diffondere consapevolezza sull’impatto del tessile e sostenere le filiere locali.

“Negli ultimi anni – spiega l’imprenditore Dario Casalini, ideatore del movimento e presidente della Rete – la moda ha iniziato a interrogarsi sul proprio impatto ambientale e sociale, ma oggi parlare di sostenibilità non è più sufficiente. Il settore tessile è responsabile del 10% delle emissioni globali di CO2 e produce ogni anno 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, ma è anche un campo di straordinaria innovazione e creatività”.

Slow Fiber è arrivata così al suo primo congresso del tessile sostenibile all’auditorium della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, con esperti, imprenditori e studenti.

A inaugurare la giornata Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, poi è stato Casalini a parlare di obiettivi: “Perché – ha chiesto – facciamo fatica a mettere insieme economia e ecologia? Incontrando tanti giovani, nella mia attività di insegnante, sto cercando una motivazione al danno che stiamo provocando alle generazioni future. Dobbiamo impegnarci nell’educazione al consumo, dobbiamo riuscire a parlare ai giovani perché siano motivati a tornare a lavorare nella manifattura. E dobbiamo mettere in sicurezza la filiera tessile virtuosa”.

Slow Fiber non si sostituisce alle certificazioni esistenti, ma integra i principi di sostenibilità e si basa sul sistema di KPI (Key Performance Indicator), validati da revisori esterni, che misurano l’effettiva adesione delle aziende ai valori fondanti della Rete, garantendo trasparenza e solidità etica.

Ampia la platea dei presenti intervenuti, dalla vicepresidente della Regione Piemonte Elena Chiorino a Ada Ferri, professoressa al Politecnico di Torino e direttrice del Comfort Lab, passando da Debora Fino, direttrice del Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino e presidente della Fondazione Re Soil, e Matteo Villa, Senior Fellow dell’ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.

Caterina Micolano, fondatrice di Ethicarei e presidente della Cooperativa Alice, ha portato il punto di vista del sociale, Flavio Sciuccati, Senior Partner di The European House – Ambrosetti, ha invece sintetizzato le dinamiche che hanno portato alle pratiche non virtuose, come la pressione dei costi e la  disperata ricerca dell’efficienza.

Di “buono e durevole” hanno parlato Maurizio Cisi, professore della Scuola di Management ed Economia dell’Università degli Studi di Torino, il sociologo Francesco Morace e Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia. Al secondo tavolo di discussione si sono confrontati Silvia Barbero, professoressa di Design Sistemico al Politecnico di Torino,Eleonora Peretti (di Quagliotti) e Marco Bortolini (di Di.Vè).

Infine i numeri che delineano i confini all’interno dei quali si muovono Slow Fiber e le reti simili: ogni anno vengano prodotti oltre 100 miliardi di capi e il 30% resta invenduto. Oltre 2 miliardi di tonnellate la quantità annua di rifiuti tessili, di cui l’87% finisce in discariche o inceneritori, meno dell’1% dei tessuti viene realmente riciclato in nuovi indumenti e tra 200mila e 500mila tonnellate di microplastiche provenienti dai tessuti entrano nell’ambiente marino ogni dodici mesi.

Si stima che ogni anno l’industria tessile globale consumi circa 93 miliardi di metri cubi d’acqua e produca oltre 92 milioni di tonnellate di rifiuti solidi all’anno. Il tempo medio di utilizzo di un capo è diminuito di circa il 36% negli ultimi 20 anni, con una media di solo 7-8 utilizzi per capo ed i prodotti tessili consumati nell’UE hanno generato emissioni di gas serra pari a circa 121 milioni di tonnellate.

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Matteo Grazzini
Matteo Grazzini