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Just Fashion Transition, criticità e futuro della moda

Poca economia circolare, sostenibilità condizionata dalla piccola dimensione delle imprese italiane e mancanza di dati precisi per misurare e valutare gli impatti del settore in ambito ambientale e sociale: questo il quadro offerto da “Just Fashion Transition”, lo studio coordinato da Carlo Cici, partner e head of sustainability di The European House – Ambrosetti presentato al Venice Sustainable Fashion Forum.

Sono state valutate le performance economico-finanziarie di 2.700 aziende della catena di fornitura, la sostenibilità di 167 aziende della filiera italiana e gli strumenti di gestione della sostenibilità delle 100 più grandi imprese europee.

I tre fattori trainanti per i volumi del settore moda nei prossimi anni saranno il Fast Fashion, le tecnologie digitali e i giovani; le aspettative del settore sono di una crescita annua globale intorno al 6% (+7.9% al 2026 nel Fast Fashion).

Se la velocità di produzione è migliorata (dai 9 mesi degli anni Novanta ai 3 giorni del 2020) i prezzi sono calati: solo in Gran Bretagna dal 1995 al 2014 il costo degli abiti è sceso del 54%, mentre gli altri beni di consumo sono aumentati del 49%.

Le pratiche di economia circolare riguardano solo il 3,5% del mercato globale e mancano dati univoci sugli impatti ambientali e sociali del settore moda. Oggi è possibile solo basarsi su stime che producono risultati molti diversi tra loro.

The European House – Ambrosetti ha condotto un’indagine sulla dimensione e la marginalità di oltre duemila aziende italiane del settore, da cui risulta la prevalenza di imprese di piccola taglia dove circa la metà ha fatturati annui inferiori ai 5 milioni di euro e solo il 3% supera i 50 milioni.

Per la prima volta è stata condotta una valutazione sulla sostenibilità di 167 aziende della filiera italiana della moda: all’aumentare delle dimensioni cresce l’adozione di strumenti per la gestione della sostenibilità (monitoraggio delle performance, figure dedicate, certificazioni, analisi di materialità,  misurazione delle emissioni, rendicontazione e valutazione dei diritti umani dei fornitori).

La pressione finanziaria non è percepita come un fattore trainante per la transizione sostenibile, ma l’aver ricevuto pressioni dalle banche triplica la propensione delle aziende a pubblicare un bilancio di sostenibilità.

Lo studio si conclude con sei raccomandazioni per gestire e non subire la transizione sostenibile del settore moda: adozione anticipata degli strumenti volontari e obbligatori che l’UE sta introducendo per sperimentare e fornire feedback; lavoro di squadra; alleanze tra i diversi attori della filiera; osservatorio
permanente, realizzato in collaborazione con le associazioni di categoria e con le alleanze industriali,
per raccogliere, sintetizzare e divulgare i dati sul settore.

Ultime due sono l’apertura all’esterno attraverso eventi dedicati alle tematiche sociali e ambientali e filiera del lusso che costituisce un’avanguardia in grado di fare sistema e di dettare l’agenda nei tavoli di lavoro europei e delle istituzioni internazionali, investendo quote fisse dei margini dei brand per favorire la scalabilità dei modelli di business circolari e la condivisione delle migliori pratiche nel settore.

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