Pensare che un prodotto è stato lavorato da un bambino certamente frena la propensione all’acquisto e lo sanno bene i grandi marchi che da anni sono impegnati a far dimenticare quelle immagini di baby operai. Nonostante tale impegno, purtroppo, il numero di minorenni costretti a lavorare è aumentato nell’Asia meridionale, zona principale per la produzione di capi di abbigliamento.
Lo dice l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO-International Labour Organization) che stima a 17 milioni il numero di bambini che lavorano nell’Asia del Sud; uno su cinque di loro ha meno di 11 anni. Un realtà che colpisce in primo luogo l’India (5,8 milioni), il Bangladesh (5 milioni) e il Pakistan (3,4 milioni) e fa pensare che proprio questi tre paesi siano tra i principali fornitori dell’Unione Europea nel settore dell’abbigliamento. In particolare in India e Pakistan sono frequenti i casi di bambini impiegati nei campi di cotone, mentre in Bangladesh diffusi sono gli abusi e le violenze ai minori nelle fabbriche di abbigliamento o i caso di lavoro senza protezioni durante la manipolazione di i prodotti tossici in fase di conciatura.
“Benché ci sia un calo del numero di bambini che lavorano su scala mondiale – ha affermato Corinne Vargha, responsabile del programma per i diritti fondamentali del lavoro per l’ILO – la maggior parte di loro rimane diffusa nettamente in Asia e nel Pacifico, ed è soprattutto in Asia meridionale che la portata del problema è molto preoccupante”.