In un periodo in cui si riaffaccia il rischio di Credit Crunch, torna utile riparlare di forme alternative di acquisizioni dei capitali. Rispetto ai paesi nostri concorrenti, europei ed extraeuropei, il sistema di finanziamento dei capitali delle nostre imprese è totalmente incentrato sul sistema bancario.
L’evidente risultato di ciò è una penuria di disponibilità finanziaria che spesso ci trova come soggetti aggrediti da investimenti esteri (società quotate concorrenti o fondi di investimento) e poche volte ci fa diventare acquirenti.
Non a caso se facciamo un elenco delle quotate nell’Area Metropolitana di Firenze abbiamo molte società d’eccellenza acquistate da gruppi esteri e molte poche società domestiche quotate. Iniziamo con l’eccellenza della Nuova Pignone (tre miliardi di fatturato per la International srl e 2,4 miliardi per la srl) ormai integrata al gruppo G.E. ; la sestese Eli Lilly, altro leader del settore con un fatturato di un miliardo e mezzo, è parte di un altro gruppo quotato USA. La Arval con un fatturato di un miliardo e 300 milioni di euro è parte del gruppo quotato francese BNP Paribas, che possiede anche la Findomestic.
Finalmente al quinto posto per fatturato troviamo una società italiana, Computer Gross, parte di un gruppo italiano quotato (Sesa). Con un fatturato di oltre un miliardo e 100 milioni di euro, l’azienda di Empoli ha raggiunto livelli da multinazionale ed ha importanti investimenti all’orizzonte.
Segue la Gucci Logistica, ennesima controllata della quotata francese del settore luxury Kering, con un fatturato di circa 800 milioni di Euro e seguita, a stretto giro, dalla fiorentinissima Salvatore Ferragamo con un fatturato di 760 milioni di Euro.
Nel settore metalli ci sono poi le successive aziende quotate, due realtà multinazionali: la Arcelormittal Piombino che fattura 470 milioni di Euro quotata nella borsa di Lussemburgo e la KME Italy, leader del settore Rame con un fatturato di circa 400 milioni di Euro e parte del gruppo Intek Group quotato a Milano.
Ma perché le aziende sono così reticenti alla quotazione o al reperimento di forme alternative di capitali? Una prima risposta possiamo trovarla nella maggiore stabilità finanziaria data dall’assenza di prodotti quotati nel mercato. Che siano infatti bond o azioni di capitale, la fluttuazione è un reale rischio che potrebbe, da un lato, incrementare la capitalizzazione ma, dall’altro, anche minarne la stabilità. Le forti oscillazioni hanno scoraggiato molte quotazioni, come quella di Savino del Bene di qualche anno fa, con una IPO saltata per limitate adesioni. Purtroppo gioca un ruolo fondamentale la situazione del momento e la stabilità dei mercati nel momento dell’apertura della quotazione.
Ma veniamo alle caratteristiche della quotazione: quali sono le aziende che potrebbero essere quotate nel distretto di Prato? Oppure quali potrebbero essere oggetto di attenzione da parte dei fondi di investimento?
Le migliori, e cioè quelle che hanno caratteristiche economiche, finanziarie e di business particolarmente appetibili come:
– EBITDA superiore alla media (indicativamente margini superiori al 9%)
– Sostenibilità del debito
– Capacità di indebitamento incrementale (possibilità di indebitarsi per nuovi investimenti)
Andiamo dunque per esclusione: togliamo le azienda della Grande distribuzione Organizzata (maggior fatturati della zona come Conad del Tirreno), ad ampia concorrenza e con basso livello di Ebitda che invece abbiamo visto essere un requisito fondamentale per il reperimento alternativo di risorse. Considerando margini e le forte oscillazioni di materie prime, escludiamo anche gli operatori legati al settore idrocarburi: Beyfin, con un fatturato di oltre 400 milioni di Euro ha comunque un Ebitda di tutto rispetto pari a 4,5% ed anche la Sirtam con 315 milioni di fatturato raggiunge un Ebitda del 3,8%. Tra i fatturati maggiori del distretto ci sono anche molte aziende legate al settore polimeri: tre importanti realtà con un fatturato oscillante da 70 milioni di Euro a 55 sono la Com-Ital plast, la Primpex e la Euro Commerciale. I margini sono però piuttosto limitati rispetto alle esigenze di un mercato quotato, l’Ebitda infatti oscilla dallo 0,25% al 2,5%.
La prima azienda interessante, sotto il profilo delle caratteristiche di quotazione, è la Tessilform: 110 milioni di Euro di fatturato con un Ebitda di poco inferiore al 9%. Posizione finanziaria netta (cioè liquidità e crediti finanziari meno debiti finanziari) positiva per oltre 26 milioni di Euro.
Anche il settore distribuzione elettricità appare molto remunerativo con Estra Elettricità che fattura circa 100 milioni di ricavi e registra un Ebitda del 6,20%. Non a caso il gruppo Estra ha un importante progetto di quotazione per la capogruppo anche se è stato recentemente rinviato (maggio 2018) per condizioni sfavorevoli di mercato (sfiducia mercati, dati macroeconomici e spread BTP – BUND). Nello stesso settore troviamo anche la più piccola NWG Energia, nata dopo l’esperienza dei soci nel settore fotovoltaico, con un fatturato di 48 milioni di euro (+28% rispetto all’anno precedente) con un Ebitda dell’8%.
Altro interessante settore riguarda il trasporto: Albini & Pitigliani dopo lo spin off del 2017 ha molto alleggerito il bilancio ma ancora non ha le condizioni di margine adeguate: fatturato di 146 milioni di euro con Ebitda al 2,9%. Appare più appetibile, nel settore, la Kortimed, specializzata nel trasporto di liquidi alimentari (olio e vino) con un fatturato di 64 milioni di euro ed un Ebitda di 7,24%. In questo caso la specializzazione del trasporto liquidi ha creato una nicchia di clientela e di settore che ha dato valore aggiunto al business, anche se sotto il profilo patrimoniale gli ingenti investimenti a leva finanziaria hanno compromesso alcuni indici di sostenibilità.
Altra azienda interessante è sicuramente la Capp Plast, sempre legata al settore tessile ma anche alimentare e farmaceutico, l’azienda di materie plastiche fattura poco meno di 60 milioni di euro con un Ebitda dell’otto per cento. La posizione finanziaria netta non è positiva , come nel caso di Tessilform, ma risulta ampiamente sostenibile con il rapporto sull’Ebitda pari a 2,5%, ben al di sotto della soglia di attenzione del 4%.
Concludiamo con l’auspicio che il distretto possa arrivare a reperire forme alternative di capitali. Per farlo è però necessario iniziare una profonda riflessione sul sistema: meno concorrenza, più sinergie, meno divisioni e più aggregazioni. Gli esempi più apprezzabili riguardano infatti aziende con scarsa concorrenza e con una profonda specializzazione e know-how. Aziende la cui marginalità è al riparo da fluttuazioni ed oscillazioni di materie prime. Aziende i cui margini consentano un rimborso pianificato degli investimenti effettuati che, ricordiamo, sono alla base di qualsiasi sviluppo.
Francesco Bianchi, Analista Credito Senior