L’antica filiera della lana bergamasca riparte da un progetto sul territorio per rinnovare una tradizione che affonda le radici nei secoli scorsi. Per non perdere la memoria e ritrovare anche un po’ di reddito la filiera sta rimettendo insieme i suoi anelli col progetto “Lana Valgandino”, che punta sulla rivalutazione e la valorizzazione della filiera produttiva legata alla lana, partendo dall’allevamento ovino sino all’impiego creativo nell’alta moda del prossimo futuro.
“In Val Gandino – sottolinea il ruralista Michele Corti, docente di zootecnica all’Università di Milano – c’erano e ci sono pascoli e pastori, ma anche competenze artigianali uniche legate al lavaggio, alla filatura, alla tintura, al finissaggio. Nel 1400 fra Peia e Gandino c’erano più pecore che abitanti ed il “panno bergamasco” indicava sin da allora una denominazione d’origine precisa e riconoscibile sui mercati”.
La presenza di una residua filiera altamente specializzata e la possibilità di dare ad essa uno scopo ed un brand che ne rafforzino la capacità di penetrazione sui mercati hanno convinto i promotori del progetto ad unire le forze: qui sono state tinte le camicie scarlatte dei Mille di Garibaldi e qui è custodito dalle Suore Orsoline nell’ex convento benedettino in contrada Castello il saio reliquia di S.Padre Pio, ma c’è anche il Museo del Tessile di Leffe con i propri macchinari funzionanti.
“Un modello – sottolinea Filippo Servalli, coordinatore del progetto Lana Valgandino e vicesindaco di Gandino – che si lega a doppio filo alla storia della Valle ed alle prospettive che essa è ancora in grado di esprimere, anche attraverso la filiera della seta, per la quale pure è in atto un progetto specifico. Lana e seta sono fibre nobili che rimandano ad antichi mestieri e saperi che oggi vengono riscoperte all’insegna della tecnologia sostenibile e di un ritrovato interesse per materie prime dall’intrinseco valore naturale”.