Andrea Belli La scelta di essere ottimista

Andrea Belli
Andrea Belli

Da tre anni è il presidente di Confartigianato Prato, dell’Associazione Nazionale Tessili, delle sezione toscana della Federazione Moda e presidente nazionale di categoria. E’ un affermato e conosciuto piccolo imprenditore con la sua orditura G.T.2000 ed ha guidato anche, nella rotazione canonica delle cariche prevista dagli accordi tra le associazioni, Rete Imprese Prato.

Per Andrea Belli, 67 anni, da sempre nel mondo dell’artigianato, gli osservatori ‘privilegiati’ (se tali si possono considerare le cariche nel mondo del lavoro in questo periodo) non sono certo mancati ed il quadro che fa del distretto pratese è un chiaroscuro degno del miglior Caravaggio. Fedeli al suo carattere ottimista e positivo, che però non gli impedisce anche di rappresentare la realtà quando è meno entusiasmante, partiamo dai “chiari”

Perché riuscite ad avere un’immagine così definita di Prato e del suo distretto?
La mappatura che abbiamo fatto insieme a Camera di Commercio, Unione Industriale e Cna è qualcosa di più, è un censimento dei vari comparti. In questo siamo stati pionieri. Lo stiamo ultimando con i servizi alle aziende, come ritorciture e orditure, ed emerge un ridimensionamento forte, nonostante il quale Prato resta il distretto tessile più importante e attrattivo d’Europa. Nobilitazione a parte il dimagrimento è però notevole e ci sono degli anelli della filiera che sono vicini alla scomparsa, come competenze se non come impianti. La mappatura non è un lavoro fine e se stesso ma riaggiornabile da parte di tutti gli enti.

Negli ultimi tempi sembrano cambiati i rapporti tra imprenditori, artigiani e istituzioni, dal Governo in giù?
Nelle associazioni e nei loro dirigenti è condivisa l’esigenza di collaborare, pur con qualche difficoltà. Mi sembra che sia un movimento ed un humus più forte del passato; non più tardi tre mesi fa abbiamo condiviso con Cna e Unione industriali il Codice Etico di distretto, che non è un pezzo di carta ma un insieme di linee guida di comportamento che vale anche come premessa di tutte le nostre operazioni.

A proposito di rapporti tra associazioni: come valuta la presenza tra i soci di Cna di numerose aziende di cittadini cinesi? E’ un valore aggiunto? Si riesce a vedere una strada di integrazione e legalità?
Premetto che sono per la più ampia integrazione a tutti i livelli, professionale, sociale, economica e quindi anche nel lavoro. Il futuro sta nel capirsi ma per farlo bisogna essere in due, come tra fidanzati, e avere un obiettivo da perseguire con tutte le energie e per ora non ho la percezione che questo stia avvenendo con gli associati cinesi, che sono sì tra 150 e 200, con numeri volubili, ma sono una percentuale ancora bassa rispetto alle 4500 aziende esistenti. La possibilità che ci si possa integrare e diventare l’uno risorsa dell’altro può anche esserci ma c’è bisogno di energie e interventi al di sopra del distretto, ovvero delle istituzioni regionali e nazionali, dai consolati ai tribunali e agli altri enti. E’ lun lavoro lungo ma dobbiamo continuare a crederci.

Tema sostenibilità. In che modo sono toccati i conto terzisti, gli artigiani?
Anche qui si può parlare di reciprocità. Io che voglio aderire a certi protocolli ho impegno, spese e sacrifici e poi magari non vendo, chi invece non aderisce o fa finta e imbroglia vende. Così da virtuoso il sistema diventa nocivo perché indebolisce o ammazza i corretti e rinforza i furbetti o gli scorretti, che poi quando rimangono in pochi e senza concorrenza si mettono in regola. Al mondo ci sono 80 miliardi di capi d’abbigliamento da smaltire e perché sia possibile smaltirli è necessario l’impegno comune di tutti.

Com’è il rapporto tra distretti? Vi parlate con Biella, Como e gli altri?
Sì, non quanto vorrei ma lo facciamo, a tutti i livelli. Sia tra parenti, ovvero Confartigianato, che tra conoscenti, tutti gli altri compresi i centri di ricerca. Potremmo fare 100 ma facciamo 50. Quello che è accaduto con Acte è indicativo; secondo me meritavamo la presidenza perché il nuovo presidente (Ulf Olsson, ndr) è un sindaco e non un assessore. Ma Acte è un ottimo strumento, non un sistema per trovare poltrone e mi fa piacere che il presidente abbia detto che il tessile non è un settore maturo perché tra sostenibile e nuovi prodotti, a parità di regole, può diventare più forte di quello che è. E il fatto che molte aziende che hanno delocalizzato stanno tornando indietro lo dimostra.

Rapporti tra imprenditori e artigiani. In ballo sembra non esserci solo le tariffe…
Il Codice Etico può essere soluzione per risolvere il problema antico degli interessi contrapposti. Può esserci un accordo per un interesse in comune e la crisi ci ha dimostrato che farci la guerra interna, tra lavorazioni e lanifici ed anche tra lavorazioni e lavorazioni ha avvantaggiato solo i compratori esterni, che hanno capito che con un po’ di pazienza in due giorni riuscivano a strappare un prezzo inferiore del 20%. La novità è nel fatto di collaborare sugli interessi comuni stabilendo anche i compensi minimi sotto i quali non conviene a nessuno scendere. Questo concetto molto faticosamente sta venendo avanti. Anni fa facevo le assemblee sulle tariffe ed erano affollatissime, adesso non viene quasi nessuno, mentre si riempiono di gente quelle su aggregazioni, semplificazioni, bandi pubblici e risparmio energetico. Il mio motto è ‘meglio chiudere perché non abbiamo lavoro che chiudere dopo aver lavorato 16 ore al giorno’, perché significherebbe aver lavorato sotto il livello di sopravvivenza. Poi c’è il tema delle norme, dei furbetti dei concordati, della pressione delle istituzioni sugli impianti, i permessi e le autorizzazioni, la burocrazia, il fisco, lo smaltimento dei rifiuti sempre più problematico, la mancanza della certezze delle regole, il credito…

Perché non vuol lasciarsi andare al pessimismo?
Non vorrei essere pessimista, tendenzialmente non lo sono e sono anche costretto a non esserlo perché per chiudere ci vogliono tanti soldi. C’è il caso di Serenella Antoniazzi, una nostra associata veneta che ha scritto il libro “Io non voglio fallire” e che ha fatto da traino e spunto per un emendamento alla legge di Stabilità per l’istituzione di un fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti. Il 93% delle aziende italiane è così, fatta da gente che ha speso la vita per farle andare avanti. Devo essere positivo e realista, perché il mondo non è che va avanti, comincia oggi. La soluzione non è mandare via i nostri figli creare i presupposti per far loro pensare che esistono le possibilità per avere soddisfazioni; se il tessile tornasse un settore di guadagno sarebbe ancora uno dei migliori. Perché se superi l’asticella di diffidenza poi il tessile diventa una passione, perché veder nascere da un filo un capo che indossi e qualcuno ti dice che è bello è come mangiare un piatto fatto da Bottura.

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