Lo stato di salute con il quale Pitti Uomo si è presentato stamani a Firenze è buono, dopo un 2021 che ha riportato un po’ di sereno dopo il buio del 2020.
Una crescita a cifre discrete ma ancora non sufficienti a riportare l’intera filiera ai livelli pre Covid: dal -19,5% del 2020 si è infatti passati ad un +11,9%: secondo le stime elaborate dal Centro Studi di Confindustria Moda la moda maschile italiana ha superato i 9 miliardi di euro, con un recupero parziale (970 milioni) rispetto alle perdite totali accusate nel 2020 (prossime ai 2 miliardi). A confronto con il turnover del 2019, quello raggiunto nel 2021 è previsto ancora inferiore del -9,9%.
Nel 2021 il segmento uomo ha coperto il 17,5% della filiera Tessile-Moda italiana ed ogni comparto ha avuto percentuali positive ad eccezione delle cravatte (-32%). Ha ripreso bene anche l’export (da -16,7% a +11,2%) che incide sul fatturato totale per il 71,3%. Più cauto il ritorno all’import, dal -20,2% del 2020 al +1,7% nei dodici mesi seguenti.
Dal punto di vista geografico crescono tutte le macro-aree tranne le forniture extra-UE, con l’Europa a +20,1% nell’export e a +12,5% nell’import. La Svizzera, ormai principale hub logistico-commerciale del lusso, è di nuovo il principale sbocco di mercato, seguito da Germania e Francia, con gli USA quarti ed in leggera ripresa. Balza al quinto posto (dall’ottavo) la Cina (+68,8%). Regno Unito in netta flessione (-31,7%).
Cina al primo posto invece tra i fornitori (14% del totale) nonostante una flessione del -12,7%; poi Bangladesh, Francia, Spagna, Romania, Tunisia, Turchia e Germania.
A livello di linee di prodotto è la maglieria ad aver avuto i risultati più importanti (+23,5%), così come l’abbigliamento in pelle (+22,1%).