Nessun fair play per l’industria inglese della moda, duramente richiamata dal parlamento britannico in quanto “sfruttatrice” e “non sostenibile”. I brand più importanti non tutelerebbero i lavoratori e non limiterebbero gli sprechi. Questo emerge da un sondaggio che farebbe luce sulla prassi di retailer e produttori di abbigliamento.
L’inchiesta ha raggiunto le 16 realtà più importanti della moda inglese: nel mirino problematiche legate agli sprechi, all’inquinamento e all’impatto ambientale, a eventuali livelli di retribuzione troppo bassi, all’induzione a un consumo eccessivo da parte dei clienti.
In effetti la Gran Bretagna è il paese che compra più vestiti per persona in Europa ed ha quindi dato vita ad un vero e proprio boom del fast fashion, in contrasto con i principi della riduzione degli sprechi.
Tra le aziende “meno impegnate” in termini di sostenibilità secondo l’agenzia di stampa Reuters che ha curato il sondaggio, ci sarebbero JD Sports, Sports Direct, TK Maxx, Amazon UK e gli e-tailer Boohoo e Missguided. Il brand di lusso Kurt Geiger, riferisce sempre l’agenzia di stampa, non avrebbe risposto al sondaggio.
All’opposto, tra i brand protagonisti dei maggiori sforzi in positivo figurano Asos, Marks & Spencer, Tesco, Primark e Burberry. Proprio lo scorso anno Burberry, guidata da Marco Gobbetti, era finita sotto tiro per l’eliminazione delle giacenze di magazzino. Il manager italiano si è impegnato a non distruggere più i prodotti invenduti, in particolare la pelle Burberry, dal 2017, viene donata a Elvis & Kresse, una società che ricicla i cast-off in nuovi prodotti.
In tema di rispetto dell’ambiente, l’Environmental Audit Committee del Parlamento inglese ha inoltre interrogato i rivenditori sull’uso di cotone organico o sostenibile, sulla limitazione degli scarichi di sostanze chimiche pericolose e il riutilizzo degli scarti di produzione.
I parlamentari formuleranno ora delle proposte, affinchè il Governo inglese possa intervenire quanto prima.