L’obbligo europeo di raccolta differenziata anche per i rifiuti tessili scattato a inizio anno ha cambiato le carte in tavola nel mondo del tessile ed anche Slow Fiber prende posizione.
Con la nuova normativa ogni Comune deve predisporre appositi cassonetti, in cui i cittadini dovranno conferire abiti e accessori di abbigliamento, scarpe, tessuti di arredamento e biancheria per la casa. L’Italia si era mossa introducendo la differenziata per i rifiuti tessili già nel 2022, ma mancano un decreto attuativo, informazione e consapevolezza dei cittadini.
In molte città mancano ancora i cassonetti. Così Dario Casalini, fondatore e presidente di Slow Fiber, si è espresso in una nota: “Il rifiuto tessile – scrive – è un rifiuto complicatissimo. Perché andrebbe disassemblato. Se ha fibre miste, dovrebbero essere separate, e non sempre è possibile a livello meccanico o chimico. E poi andrebbero disassemblate le parti con composizioni disomogenee rispetto a quella che si vuole riciclare. Con le attuali quantità di rifiuti tessili prodotti, in crescita costante, è un’impresa titanica”.
Il riciclo non diventi un pretesto per non affrontare alla radice il problema della sovraproduzione
Ecco quindi che il focus si sposta sui consumatori: “Nessuna normativa – continua Casalini – apporterà soluzioni definitive senza un cambio culturale e un nuovo paradigma di produzione e consumo che ripudi sovrasfruttamento e sovrapproduzione. Dobbiamo produrre di meno e meglio. Il riciclo, la circolarità, sono fondamentali, ma non devono essere gli unici obiettivi. La soluzione è fare bene dall’inizio, cambiando sia il modello di produzione sia quello di consumo”.
Slow Fiber, che a oggi riunisce 28 aziende italiane della filiera, teme quindi che il riciclo diventi un pretesto per non affrontare alla radice il problema della sovraproduzione: “Convincere il consumatore che ‘tanto si può riciclare’ rischia di farci cadere in questa trappola”.
Il consiglio è di allontanarci dagli acquisti usa e getta per tornare a pensare che “un oggetto, sia esso capo di abbigliamento o arredo o qualsiasi altra cosa, debba essere pensato e realizzato per durare il più a lungo possibile. Questo si può fare solo producendo beni di qualità. E la qualità si porta dietro materie prime selezionate e un lavoro qualificato, che non può nascere dallo sfruttamento delle persone, come avviene necessariamente con la sovraproduzione di prodotti a basso costo”.
Entro aprile il testo normativo UE sull’EPR tessile dovrà essere recepito dagli ordinamenti nazionali. “Creare dei sistemi di responsabilità è utile – conclude l’associazione – perché dovrebbe convincere il sistema a produrre molto meno. E’ fondamentale poter inserire i prodotti a fine vita in cicli virtuosi. Già facciamo tantissime pratiche di upcycling e downcycling. Molti nostri scarti finiscono in filiere collaterali, ma l’idea è dei circuiti chiusi. Quello che non vorremmo che accadesse è, dopo aver introdotto una responsabilità dei produttori, continuare a spedire la maggior parte dei rifiuti tessili nel sud globale, oppure averne una percentuale gestita male. A oggi, tutti i rifiuti tessili confluiscono in un unico posto, ma poi devono essere separati per composizione, per il loro stato… se ciò non avviene, non stiamo risolvendo il problema. La quantità attuale di capi prodotti e gettati è grandissima e continuerà a crescere, così com’è non è gestibile nel tempo, continuare a inseguirla è un palliativo”.