Tra tante edizioni di Pitti Filati (96) quella iniziata ieri alla Fortezza da Basso di Firenze è sicuramente una delle più travagliate e al tempo stesso stimolanti.
A dare il benvenuto a espositori e visitatori è stata la bomba d’acqua che, proprio nel momento dell’inizio dell’afflusso allo spazio espositivo, ha ridotto Firenze ad un lago di acqua e fango, con i giardini della Fortezza a dare il là a un fiumiciattolo marrone. Chi ha potuto è tornato in hotel a cambiare abiti e scarpe, gli altri hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco e restare in fiera con pantaloni e calzature bagnate.
E la pioggia è stata ospite non invitata e non desiderata anche in qualche stand, visto che dal soffitto del padiglione centrale tra le 9.30 e le 10.30 hanno iniziato a cadere gocce su tavoli e campionari di alcune aziende espositrici, segnale che i lavori di ristrutturazione e miglioramento alla Fortezza da Basso non possono più attendere a lungo.
In tutto questo c’è stata la prima giornata di salone, con un’affluenza un po’ ad intermittenza, con ottime punte in tarda mattinata e qualche momento di stanca a metà pomeriggio.
Tra i temi dibattuti, al di là della presentazione delle collezioni, c’è sicuramente la situazione dei mercati: nessuna particolare luce all’orizzonte ma qualche accenno di movimento c’è, dopo un anno e mezzo di grandi difficoltà.
Nessuno si sbilancia sul versante dell’ottimismo, mentre è lunga la lista dei dubbi e dei timori, dal crollo delle vendite e dei consumi all’aumento dei costi di produzione a causa di utenze energetiche e materie prime. A questo si aggiunge un tema più attuale, la possibilità cioè che Trump e gli USA passino ad un sistema di dazi pesante.
“Ci saranno assestamenti da leggere e capire – dice Alberto Enoch, presidente del Consorzio Promozione Filati – ma gli USA non hanno la capacità di produrre sul proprio territorio quello che al momento stanno importando”.
“Se i dazi arriveranno – afferma Silvio Botto Poala, CEO di Botto Giuseppe – vedremo su quale parte della filiera impatteranno, se riguarderanno anche le importazioni dal Far East, dove comunque abbiamo anche noi i fornitori. Di certo gli USA non hanno le competenze per produrre tessile in proprio”.
“Il mercato USA per noi è importante – spiega Cristiana Cariaggi, di Cariaggi – perché riguarda i nostri clienti e il loro prodotto finito, quindi i dazi potrebbero riguardarci più o meno direttamente”.