Sergio Tamborini presidente di SMI

Sergio Tamborini Il tessile italiano tra bollette salate e nuovi competitors

Una filiera vicina al collasso; soluzioni e proposte già presentate ai piani alti, altissimi, della politica italiana; un futuro di difficile interpretazione; prezzi di energia elettrica e gas che cambiano nel giro di un’ora; un sistema fieristico da rivedere.

C’è il tessile-abbigliamento a 360 gradi nelle parole di Sergio Tamborini, presidente di Sistema Moda Italia, in una mattina di inizio settembre che si annuncia foriera di nuovi cambiamenti per i consueti parametri di riferimento delle aziende, ovvero i numeri che da sempre regolano il lavoro: costi, ricavi, ordini, programmazione e via di seguito.

C’è ancora qualcosa di sostenibile in tutta questa situazione?
No, se le condizioni rimangono queste nel tempo cambieranno tutti i parametri. La nostra è una filiera energivora, con la parte del finissaggio e della nobilitazione che lo è doppiamente, per gas ed energia elettrica. Questa parte che sta a monte della produzione di moda, ma che riguarda anche l’arredo, è indispensabile per i brand top del fashion che contano sul made in Italy ed un’eventuale mancanza di questa lavorazione sarebbe un problema anche per loro. Parlo di mancanza perché in certe condizioni è difficile lavorare senza accettare aumenti enormi dei prezzi, che poi si riflettono su tutta la filiera. O impossibile, se penso al caso di una tintoria di filati cotoniera che nel 2021 ha avuto un giro di affari di 7,5 milioni di euro e che nel 2022 di solo energia spenderà 8 milioni. La soluzione sarebbe raddoppiare i prezzi al cliente senza avere comunque nessuna marginalità in più.

La crisi nasce con la guerra in Ucraina o c’erano già prima segnali sottovalutati?  
C’è una speculazione, certo, così come ci sono distorsioni nel mercato dell’energia ma le avvisaglie c’erano già un anno fa, a settembre e ottobre, prima della guerra in Ucraina. Evidentemente è vero che i mercati anticipano gli eventi. Adesso le condizioni geopolitiche contribuiscono a falsare l’indice con il quale viene stabilito il prezzo del gas e a creare la speculazione.

Cosa vi aspettate come Sistema Moda Italia e come imprenditori?
Nell’immediato che il Governo agisca con i ristori. Lo stato in questa situazione sta incassando un’IVA inattesa che non può restare nelle casse ma che deve essere redistribuita tra i cittadini e le imprese. Poi bisogna disaggregare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas, perché solo il 50% dell’energia elettrica è prodotta col gas ed infine un tetto europeo sui costi.

Qual è il peso che il sistema moda ha sulle istituzioni, anche rispetto ad altri comparti industriali?
Siamo nel gruppo di chi soffre, nessuno è più bravo di altri. Bisogna che si permetta al mondo del lavoro di non fermarsi per mancanza di energia, ma non vedo segnali in questa direzione, o per l’impossibilità dei mercati di sopportare i prezzi. Il valore del tessile-moda magari è più significativo in termini di prestigio per il made in Italy.

Si sta creando un gap tra Paesi, europei e non?
Dopo i vari lockdown qualcosa è cambiato. La Turchia ad esempio è un competitor paritetico per l’Italia per numeri e localizzazione geografica, ma ci sono da considerare anche condizioni politiche e sociali diverse. Il Governo supporta molto le aziende e condizioni sull’energia diverse dalle nostre, ma nel 2023 ci sono le elezioni e bisognerà vedere cosa succede. Per quanto riguarda l’Europa non ci sono Paesi a livello qualitativo pari all’Italia e anche sui costi energetici si va verso un riallineamento, anche con l’Est, dove c’è stata la prima delocalizzazione. E’ vero però che l’Italia è la nazione più cara sotto questo aspetto.

Un ulteriore danno causato da questi rincari può essere uno stop alla transizione green, con chi ha investito in questi anni in fotovoltaico, ad esempio, che vede vanificati gli sforzi per risparmiare e tutelare l’ambiente?
No, al contrario. L’evoluzione verso il green è obbligatoria già dagli anni scorsi e anzi c’è stata un’abbondanza di materiali ed energie che ha portato a sovrapproduzioni e consumi comunque importanti. Oggi una minor disponibilità di materie prime può portare ad un consumo più consapevole. Se da ora in poi faremo docce un po’ più brevi e meno calde, viaggeremo in auto con altre persone e non da soli e avremo un grado in meno in casa e risparmieremo il 10% la domanda sarà: “non potevamo farlo prima?”.

Dopo la pandemia sono ripresi gli eventi in presenza e il calendario è già quasi ingolfato. Sono troppi i saloni in rapporto alla resa in termini di affari e di spesa per le aziende?
Le fiere erano troppe prima della pandemia e sono troppe adesso. Per quelle generaliste il primo problema è la contrapposizione e la quasi sovrapposizione tra Milano Unica e Première Vision. Eravamo arrivati ad una parziale soluzione ma ora il problema si ripropone. Poi mi pare che stiano acquisendo più valore le fiere locali o mirate su singoli prodotti. Credo che ci sia bisogno di un riallineamento, necessario anche perché durante la pandemia abbiamo capito che si può lavorare anche online.

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