Adriano Aere
Il centurione

Adriano Aere <br> Il centurione

Adriano Aere e i segreti del successo di Imperial

A sentirlo parlare sembra che sia l’ultimo degli imprenditori. Esempio di modestia, cultore della fatica, del lavoro e del sacrificio, nessun vizio, poche passioni e tanta dedizione alla causa: per tutti questi motivi si capisce che Adriano Aere, fondatore di Imperial, non sarà mai l’ultimo degli imprenditori, anzi.
La sua azienda è un brand da oltre 200 milioni di fatturato, è una di quelle che in Italia cresce col ritmo più alto e regolare, ha quasi rivoluzionato il mondo del fast fashion, di fatto inventandolo quando la moda viaggiava su velocità compassate, grazie alla solidità dell’economia degli anni ’80. L’hanno ribattezzata “la piccola Zara” ma per Aere il paragone non regge: “Non ne abbiamo la forza – dice nella sua prima professione di umiltà, usando sempre il ‘noi’ riferendosi al gruppo che lavora con lui, sua moglie Emilia in primis – ma di certo ne abbiamo il carattere e l’intraprendenza. Il fast fashion è una cosa seria, che richiede tempo per costruirla e quando siamo nati, 35 anni fa, non c’era la necessità che c’è ora, con la crisi, c’era bisogno di prodotti da vendere nei negozi. Eravamo stretti tra le grandi e le piccole firme ma, essendo noi stessi i nostri rappresentanti sul mercato, abbiamo capito le esigenze dei clienti e ci siamo inserito nello spazio lasciato vuoto dalle collezioni. Poi abbiamo imparato a fare la produzione, quando molti miei colleghi pensavano più a creare le aziende”.

Quindi è nato già allora il segreto di Imperial?
Per fare quello che facciamo, ovvero 8 milioni di capi all’anno, prodotti prima ancora di venderli, o si è matti o si conosce il mercato grazie all’esperienza di quegli anni. Mentre noi entravamo in punta di piedi nei negozi i brand iniziavano ad afflosciarsi per il cambiamento del mercato e abbiamo trovato spazi, proponendo cifre di investimenti per gli acquisti più modeste e riducendo l’impegno di denaro.

Ed è arrivato il successo attuale, che forse non ha uguali in Italia.
Ora quello che ci rende orgogliosi è l’essere al 100% made in Italy; i nostri laboratori sono in Emilia Romagna ed è la nostra forza perché commissioniamo il lavoro e il giorno dopo ci è già rientrato, permettendoci di pensare continuamente a colori e glamour nuovi. 20-25 anni fa si guardava e un po’ si copiava a Londra, a Parigi, ad Amsterdam, mentre ora possiamo investire nella ricerca, abbiamo cinque stilisti, otto modellisti, un sistema informatico che ci consente di valutare tutti i mercati del mondo ma abbiamo sempre mantenuto il DNA, che è quello dei frontisti. Teniamo sempre davanti agli occhi le tendenze, che però non sono quelle a sei mesi, ma a una settimana, al massimo a quindici giorni.

Questa è lungimiranza nella produzione, ma lei ha dimostrato di averne anche nelle acquisizioni di altri brand, come Dixie, ad esempio. Ha già altro nel mirino?
Per ora siamo impegnati nel trasferimento di tutto il know-how a Dixie, la voglio far diventare grande, che merita e che diventerà la più bella della Toscana, perché le stiamo passando il nostro modello industriale, i nostri clienti esteri. Li abbiamo acquisiti prima di tutto perché sono bravi e poi perché, essendo bravi, meglio averli alleati che nemici e concorrenti. Il tutto mantenendo le proprie caratteristiche; loro sono solo più piccoli di noi, più artigiani e nel giro di due anni saranno pronti per i mercati internazionali, infatti li stiamo facendo lavorare in Germania, in Portogallo, in Spagna…

A proposito di nuovi mercati… avete registrato il marchio in Cina per tutelarvi ma ancora non è del tutto convinto ad investire lì.
Abbiamo uno showroom a Hong Kong e c’è qualcosa su cui stiamo lavorando, ma possiamo comunicare la cosa solo quando firmiamo gli accordi. Quello cinese è un mercato interessante ma bisogna stare attenti, dobbiamo portare a casa gli interessi dell’azienda prima che quelli dell’imprenditore, perché è l’azienda che dà da mangiare al territorio, alle nostre famiglie, ai nostri collaboratori.

Lei è famoso per essere un imprenditore che si è fatto da solo ma di recente ha fatto un accordo con l’Università di Bologna per formare gli studenti più validi. E’ un modo per riconoscere il valore della formazione nel futuro?
La cultura d’impresa è fondamentale per arricchire il territorio e le persone qualificate devono lavorare qui, da noi. Perché non devo finanziare questi investimenti? Quello che ora chiamano fashion lab da noi esisteva già cinque anni fa ma questa cosa la ignoravano anche i vertici dell’Università.

Davvero Adriano Aere è tutto famiglia e lavoro? Ha rifiutato il Bologna Calcio che le avevano offerto quando navigava in brutte acque, sembra non avere vizi, mangia in azienda al self service…
Ogni tanto mi piace volare. Ma la mia grande passione è l’archeologia e la storia dell’antica Roma. Ho creato Imperial pensando allo schema delle legioni romane perché Roma ha conquistato il mondo con pochi uomini ma organizzati e compatti, con le piccole centurie. E noi facciamo 8 milioni di capi con 92 persone nel reparto produzione. Mica facile, eh?

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    […] creato un marchio chiamandolo Imperial, data la sua passione per gli antichi romani, e trasformandolo in un vero impero, di nome e di fatto: oltre 750 dipendenti, 75 negozi diretti, […]

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