Chissà se nel momento in cui ha stretto la mano ad Ercole Botto Poala davanti alla platea di Milano Unica Alessandro Barberis Canonico immaginava che a quel passaggio di consegne sarebbe seguita la più grande crisi del tessile-abbigliamento, sia pure attribuibile a cause esterne ed imponderabili…
Lo scorso febbraio, quando c’è stato il passaggio di consegne al vertice del salone italiano, “cornavirus” era già una parola di uso comune, usata soprattutto per commentare le immagini in arrivo dalla Cina, ma nei mesi seguenti è diventata la base per ogni discussione pubblica, decisione politica o scelta di programmazione. Come quella di organizzare il salone di settembre.
Avete deciso di confermare la data di settembre. E’ più una scommessa, un messaggio di fiducia a tutta la filiera o un convinto ottimismo?
Una scelta coraggiosa, per due motivi. Il primo è perché i duecento espositori in questo momento difficile fanno un investimento per dire che il tessile è vivo, ci crede, vuole ispirare i suoi clienti con nuove collezioni e nuovi prodotti e stili pur sapendo che è difficile vendere perché molti negozi nel mondo sono ancora chiusi. Il secondo motivo è la possibilità di dare un messaggio di presenza, nel cuore del tessile italiano di fascia alta o anche lusso. Anche se una parte del settore ha perso qualcosa i presenti a Milano Unica assicurano grande qualità al salone, pur sapendo che da alcuni paesi i clienti non riusciranno ad arrivare. Facciamo vedere che vogliamo non rinascere, perché non siamo morti, ma rilanciare tutto il settore in mercati in cui è stata saltata una stagione ma le aziende hanno lavorato nonostante il lockdown.
Quale mercato la preoccupa di più, sia come imprenditore che come presidente del salone?
Come presidente mi preoccupa il fatto che Milano Unica sia una fiera di successo, perché è un servizio per i nostri clienti. Al momento non sappiamo, tra quarantene obbligatorie e blocchi vari, chi riuscirà a venire a Milano. Chi ce la farà troverà una fiera efficiente, potrà spostarsi nei corridoi, vedere campionari diversi, discutere con i fornitori, trovare punti di ispirazione e far partire nuovi progetti. Come imprenditore invece mi auguro che tutta questa situazione si sblocchi. La cosa positiva è che se andiamo a vedere cosa è successo in Asia, dove si sono mossi prima a livello di tempistica e in modo più incisivo sul blocco delle persone in casa, come in Cina, o in Giappone dove più o meno hanno contenuto il virus ed in Corea dove, magari a discapito di un po’ di privacy, hanno monitorato la popolazione, vediamo che le cose bene o male sono ripartite. La gente è tornata a lavorare in ufficio, le consuetudini sociali, che portano anche i consumi, sono riprese e la crescita delle vendite lo dimostra. Lo stesso potrebbe succedere anche in Europa e qualche segnale sta arrivando, soprattutto dal nord. A preoccupare molto invece sono gli Stati Uniti, dove la curva dei contagi non solo non declina ma non accenna neanche ad appiattirsi. Quello è un mercato molto importante per le aziende che sono a Milano Unica, sia per la donna che per l’uomo, e come visite in fiera purtroppo avrà ancora da soffrire, almeno fino a fine 2020.
Alla fine del lockdown il presidente di SMI Marino Vago ha tirato le orecchie ai distretti per le decisioni prese in autonomia e la confusione che hanno generato. Per la decisione di organizzare la fiera Biella, Como e Prato come si sono comportate?
Purtroppo o per fortuna io facevo parte del consiglio della fiera già prima di fare il presidente e prima del Covid ridevamo della difficoltà di mettere d’accordo i distretti, perchè in effetti Milano non è ancora del tutto Unica come dice il nome ed esiste qualche anima indipendente ma il percorso di convergenza verso l’obiettivo è ben avanzato. Ma devo dire che il virus ha compattato i vari rappresentanti dei distretti condividendo le idee e concentrandosi sulla fiera. Alcune aziende non se la sono sentita di partecipare ma in tante hanno voluto scommetterci.
Ha preso Milano Unica in un momento di crescita e rilancio grazie anche alla decisione di anticipare a luglio, poi seguita da altri saloni. Quando spera di riavere il salone a pieni numeri?
La mossa del past president Ercole Botto Poala è stata riconosciuta come un vantaggio competitivo per chi poteva accedere prima al campionario e anche se stavolta non abbiamo potuto anticipare a luglio siamo ancora nei tempi per fare una fiera, anche perché molte scelte di tessuto ormai si fanno in ritardo. Con questa fiera vogliamo rafforzare l’immagine della collezione donna, dove Milano era un po’ meno presente. Per un ritorno alla normalità ci sono due fattori. La possibilità per i clienti di muoversi, e non so se a febbraio, visti i focolai che ci sono ancora e le incertezze sul vaccino, ce la faremo. E poi il fattore economico perché il settore dovrà subire altri sei mesi di difficoltà in termini di vendite per i mutati comportamenti sociali in vari mercati. In questo caso ho buone speranze per una normalizzazione nel giro di un anno e per la fiera del prossimo luglio.