Il NY Times attacca, la CNMI si difende

Il NY Times attacca, la CNMI si difende

L’articolo del New York Times sul lavoro irregolare nella filiera della moda italiana ha lasciato l’amaro in bocca alla Camera Nazionale della Moda Italiana, che ha subito risposto per le rime con una lettera aperta.

Questo il testo

CNMI e i suoi soci si impegnano da tempo al fine di rendere la filiera italiana resiliente, equa e tutelante su tutti i fronti. E’ un processo complicato che richiede tempo. Non ci sono soluzioni facili ma con il nostro Tavolo di Lavoro sulla Sostenibilità abbiamo già ottenuto concreti risultati e continuiamo a implementare soluzioni costruite su fatti in un’ottica di sistema. Purtroppo questi risultati e progressi sono stati omessi nell’articolo del NYT che ha invece voluto trattare un caso circoscritto per inquadrare un contesto più ampio, perdendone il senso generale. Ad esempio, l’articolo del NYT giustamente riconosce che l’ultima statistica sul lavoro irregolare risale al 1973. L’unica statistica recente citata è di Tafia Toffanin, l’autore di Fabbriche Invisibili che stima che “attualmente ci sono da 2.000 a 4.000 lavoratori irregolari nella produzione di abbigliamento”. Se si considera il contesto di una grande industria, che impiega 620.000 persone in 67.000 aziende, emerge chiaramente come i lavoratori irregolari rappresentino un’anomalia. Il nostro dato statistico ottimale sarebbe ovviamente pari a zero, tuttavia questo scenario dimostra che stiamo affrontando positivamente questo problema.
Le statistiche più recenti suggeriscono infatti che il numero di lavoratori irregolari è calato del 16% dal 2010 al 2015. Tra tutti i settori che hanno cercato di affrontare questo tema, quello della moda di lusso in Italia ha ottenuto i migliori risultati. L’articolo del NYT fornisce un quadro inesatto anche sullo status dell’Italia riguardo i diritti dei lavoratori in generale.

L’articolo afferma che “l’Italia non ha un salario minimo nazionale” e compara le politiche italiane per i salari e la produzione a quelle delle economie a basso salario, paragone inaccettabile. Infatti è vero il contrario. In Italia il salario minimo e gli stipendi sono stabiliti attraverso negoziazioni e accordi tra sindacati e associazioni dei datori di lavoro. Ciò accade autonomamente per ogni settore. Tali accordi hanno lo stesso status giuridico di una legge (“forza di legge erga omnes”), che tutela i lavoratori di tutti i settori. Fissare i salari attraverso la negoziazione rappresenta la possibilità di avere una maggiore equità sociale e regole più democratiche, invece che definire un salario minimo per legge, in quanto tale soluzione ha dimostrato di portare un maggior indice di sindacalizzazione.

L’Italia quindi vanta uno dei più alti indici di sindacalizzazione nel mondo: il 34,4%. Secondo le statistiche OECD, quando si parla di ‘Trade Union Density’ o indice di sindacalizzazione il nostro Paese si posiziona appena al di sotto dei Paesi Scandinavi e del Belgio. Si colloca ben al di sopra dei paesi anglosassoni come il Regno Unito e gli Stati Uniti, dove solo il 23,7% e il 10,3% dei lavoratori sono rappresentati da sindacati. Inoltre, i dati dell’OECD mostrano anche che l’Italia ha un divario salariale di genere più basso rispetto alla maggior parte degli altri Paesi OECD.

CNMI e i suoi Soci riconoscono che c’è molto lavoro da fare e continuiamo a concentrarci su fatti e soluzioni concrete. Oggi il nostro lavoro continua per una filiera sempre più resiliente. Questa settimana a Milano i Green Carpet Fashion Awards Italia sono il segno di un’importante azione nel nostro settore che si inserisce all’interno di un movimento globale per la sostenibilità. Per noi un grande traguardo, mentre la nostra filiera continua a trasformarsi verso obiettivi di sostenibilità globali in una missione che coinvolge tutti noi.

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